martedì 1 dicembre 2015

TRECCANI POLITICO





Da almeno una quindicina d'anni il nostro vocabolario si è arricchito dell'uso, a volte anche indiscriminato, della parola tagli. In campo economico e politico, questo termine indica una decisa revisione del concetto di spesa o consumo. Ottimizzare e razionalizzare sono diventati i verbi preferiti dai nostri amministratori. E', però, sempre così. Domandiamocelo. Che cos'è uno spreco e cosa un disinvestimento? Proviamo a darci delle risposte. Lo spreco è il consumo eccessivo o inutile di beni o risorse, un eccesso economico e finanziario, un vezzo sterile e costoso. Esso è anche identificabile in una spesa per l'acquisto di beni o la prestazione di servizi che servono ma che si possono “facilmente” reperire a prezzi più contenuti. Il disinvestimento, invece, è la riduzione della quantità di beni utilizzabili nell’attività produttiva, dello stock di capitale già esistente causata dalla mancata sostituzione degli elementi che lo compongono (edifici, impianti, attrezzature, ecc.) man mano che l'usura li rende inutilizzabili. Si tratta di una scelta aziendale che è proiettata unicamente nel futuro. La natura dell'investimento (che è il suo esatto opposto) è principalmente di carattere previsionale e rappresenta il vero termometro delle capacità manageriali di un'impresa. La ricerca è il suo momento più alto, così come la sostituzione migliorativa di strumentazione e personale. Chiariti questi punti dobbiamo necessariamente porci un'altra domanda: quando i tagli di spesa entrano a far parte della lotta agli sprechi e quando sono mere riduzioni o cancellazioni di uno o più investimenti? Vorrei affermare che i nostri amministratori hanno grandi doti di preveggenza ma temo che la realtà incontrovertibile sia che ci troviamo di fronte a scelte di carattere speculativo e non lungimiranti. Se mi sbaglio e c'è la ripresa allora questo sarà il Natale più ricco e abbondante degli ultimi anni. Se non mi sbaglio, invece...
Pier Giorgio Tomatis

martedì 13 ottobre 2015

Il colpevole



Ammettiamolo, siamo insoddisfatti. Questa pervicace sensazione nasce dalle aspettative irrealizzate nel nostro quotidiano e quelle che costantemente siamo costretti dalla società a rivedere al ribasso. Ad ingigantire la conseguente frustrazione sono le notizie che i mezzi di informazione ci sciorinano continuamente: il clochard che ha vinto al superenalotto, lo studente che diventa milionario grazie ad una sua scoperta o invenzione, il tizio che diventa ricco con un video postato su youtube in cui si butta seminudo su di un cactus, il bambino di soli 7 anni che è al centro di un'asta di mercato tra le grandi società di calcio del mondo. Potevamo essere noi in quel piccolo numero di “eletti”. I mezzi d'informazione, però, non ci illustrano solo queste belle (?) ma rare possibilità. Essi ci ricordano che c'è una crisi, miseria, suicidi, disoccupazione, ingiustizia, guerre, fame e morti ovunque. Voglio raccontarvi una storia che scrissi solo poche settimane fa ma che sembra ancora attualissima. Narrava le vicende di una città storica, ricca di cultura e operosità, in cui la Crisi si era fatta sentire in maniera devastante, le scelte politiche non sempre oculate e lungimiranti, la decadenza inevitabile conseguenza della difesa ad oltranza dei poteri forti. Da diverso tempo il suo Primo Cittadino è fatto bersaglio di un attacco mediatico senza precedenti quasi che tutte le colpe della stagnazione attuale, delle buche nelle strade, della criminalità, della corruzione, sia riconducibile ad un solo uomo anziché ad interi apparati dirigenziali suddivisi nei vari settori. Il Segretario di un Partito di maggioranza (quello che conta più consiglieri) e che ha anche altri incarichi istituzionalmente più alti sembrerebbe orientato a dettare un avvicendamento nello scranno più alto della città. Tutto ciò ricorda molto una normale diatriba calcistica: quando i risultati non arrivano si deve cambiare l'allenatore perché trasformare la squadra costerebbe troppo e ammettere gli errori della Società sarebbe mero masochismo. Vi ho raccontato questa storia perché credo, immodestamente, che molti tra voi lettori saranno cascati nell'equivoco sul cui piano io, volutamente, ho voluto portarvi: parlavo di Pinerolo e del suo Sindaco Buttiero e non di Roma e di Marino. Cambiando l'ordine dei fattori, dice la matematica, il prodotto non cambia. Noi staremo a guardare?

lunedì 20 aprile 2015

Siam tutti Draghi





Una brutta, bruttissima, tendenza comunicativa che la politica che conta, cioè quella di Governo, sta usando per nascondere le proprie inefficienze è quella di contestare, criticare, ostracizzare, tutti coloro che raccontano di una sempre più crescente ribellione nei confronti dello status quo, di una società sperequativa e crudele nei confronti dei più deboli e di chi soffre veramente. Il punto di vista è questo: se chicchessia si avvicina a Draghi per tirargli dei coriandoli (o magari anche altro) la colpa non è dell'ex-Governatore di Bankitalia e della scellerata politica monetaria della Troika. No. La colpa è di tutti quei politici, giornalisti, personalità famose e di grande appeal che “soffiano sul fuoco della contestazione” per raccattare facile consenso o pubblicità gratuita in maniera grave e irresponsabile, irriverente nei confronti delle più alte cariche istituzionali del Paese. La realtà, ovviamente, è che chi cerca di ottenere (o mantenere) consenso è proprio “la gallina che canta” e che, quindi, come insegna il detto popolare “ha appena fatto l'uovo”. Il Governo deve ottenere risultati e se non ci riesce non è per il vociare delle opposizioni ma per la sommatoria delle proprie incapacità. Se l'esecutivo ritiene che è compito di buon giornalismo predicare ottimismo sperticato dimentica che una notizia trattata con obiettività e non con religiosità. Tanto più che chi soffia sul fuoco delle paure della gente, molto spesso, è proprio la maggioranza. Ad esempio, quando spaventa l'elettorato sui pericoli che si corre nel cambiare squadra di Governo o obiettivi e politiche in ambito nazionale ed europeo. “Chi di paura ferisce...”

giovedì 9 aprile 2015

Silver Surfer





Signor Presidente del Consiglio ho letto con profondo dispiacere che ha comunicato alla nostra Astronauta Samantha Cristoforetti la sua intenzione di invitarla presto a Palazzo Chigi. Per chi ancora non la conoscesse, si tratta di un'aviatrice, ingegnere e astronauta, prima donna italiana negli equipaggi dell'Agenzia Spaziale Europea e nello Spazio. Per la carità, non c'è nulla di male in tale richiesta e il personaggio mediatico che cavalca il cosmo mi ricorda un cavaliere argenteo di nome Silver Surfer. Marvel Comics docet. Silver Surfer, il cui vero nome è Norrin Radd, è un personaggio dei fumetti creato da Stan Lee e Jack Kirby nel 1966, pubblicato dalla “Casa delle idee” nel 1966. Si tratta di un alieno che salva il nostro mondo dalla distruzione per mano del suo padrone: un essere potentissimo di nome Galactus che lo confina nel nostro pianeta impedendogli di volare tra le stelle. Che cosa c'è di sbagliato, dunque? Beh, se proprio insiste così tanto mi vedo costretto a dirglielo. L'errore non è di Samantha Cristoforetti. Lo sbaglio lo ha commesso lei, il Presidente del Consiglio. Il messaggio che spero non passi è che a Palazzo Chigi vada di moda lo Spazio. In tempi di forte crisi, di penosa tristezza generale, di un vergognoso raddoppio del numero dei suicidi per la condizione economica negli ultimi 3 anni, io vorrei sapere che il capo dell'Esecutivo poggi i piedi saldamente per terra. Non me ne voglia AstroSamantha ma ritengo che il miglior regalo che si possa fare a lei, il Premier italiano, sia quello di comunicarle che prima di andare nello Spazio c'è parecchio da fare. Qui. Sulla Terra. Abbiamo già risolto tutti i nostri problemi? Con questa mia lettera le comunico (se ancora non lo sapesse) che così non è. Almeno per quanto mi riguarda.

domenica 29 marzo 2015

V per Violenza





Ogni anno, l'Institute for Economics and Peace (IEP) in collaborazione con un équipe internazionale di esperti di pace da istituti e da think tank su dati forniti e rielaborati dall'Economist Intelligence Unit, società di ricerca e consulenza che fornisce analisi sulla gestione di stati ed aziende, stila il Global Peace Index (GPI), ovvero la classifica delle nazioni in base a quanto sono pacifiche o, viste dalla prospettiva opposta, da quanto non sono violente. E' stato pubblicato per la prima volta nel 2007 e esamina la situazione di 162 Stati. I fattori che prende in considerazione sono: numero di conflitti esterni ed interni combattuti, decessi stimati dovuti a conflitti esteri, decessi stimati dovuti a conflitti interni, livello di conflitto interno organizzato, relazione con stati vicini, livello di criminalità percepita dalla società, numero di rifugiati e profughi in percentuale alla popolazione, instabilità politica, livello di rispetto dei diritti umani (bilancio del terrore politico), terrorismo, numero di omicidi, livello di criminalità violenta, probabilità di dimostrazioni violente, numero di carcerati,
numero di agenti di polizia e sicurezza, spesa militare in percentuale al GDP, numero di personale delle forze armate, importazioni di armi convenzionali rilevanti, esportazione di armi convenzionali rilevanti, fondi per missioni di peacekeeping dell'ONU, numero di armi pesanti e capacità nucleare, facilità di accesso ad armi leggere. Pur comparendo ben 7 nazioni dell'Europa geografica, l'Italia non è presente nei primi 10 posti. La classifica vede al primo posto l'Islanda, seguita dalla Danimarca e poi via via ci sono l'Austria, la Nuova Zelanda, la Svizzera, la Finlandia, il Canada, il Giappone, il Belgio e la Norvegia. Il costo stimato della lotta globale contro la violenza raggiunge i 9 mila 8 cento miliardi di dollari (2 mila 535 miliardi solo per le spese militari). Il Belpaese è al 34esimo posto. Tra i Paesi che, viceversa, risultano più arretrati, secondo il GPI, troviamo la Siria, il Sudan e l'Afghanistan.


mercoledì 11 marzo 2015

E. T.: l'Extra Tassazione




Una recente stima realizzata dall'Associazione Bruno Trentin, dall'Istituto Techne e dal Centro Europa Ricerche valuta che l'evasione fiscale nel nostro Paese ammonta ad una cifra compresa tra i 250 ed i 290 miliardi di Euro l'anno. Tale somma corregge al rialzo quanto calcolato dall'Istat.

I proventi del malaffare della criminalità organizzata (e non) si aggirerebbe sui 70-80 miliardi (20 per usura, 21 per droga e il rimanente per prostituzione e gioco illegale). L'economia cosiddetta informale (dal baratto alle vendite ed ai servizi scambiati ad esempio in ambito familiare) produce un sommerso (non contabilizzato) di 20-25 miliardi di Euro circa. La grossa parte rimanente rappresenta il vero ostacolo per ogni politica economica italiana ed in essa si ritrovano il lavoro nero ma anche gli evasori totali e i fondi che le aziende (anche e soprattutto quelle più grandi) nascondono al Fisco. Nel Belpaese sembra sia difficilissimo finire dietro le sbarre se si è derubato lo Stato. E' proprio curioso il fatto che in Italia, Paese strangolato dal debito pubblico e dalle scellerate politiche dell'Unione Europea, si discuta su di una Legge che prevederebbe una soglia sotto la quale il reato di sottrazione indebita all'Erario non è considerato reato e i condannati a tutt'oggi rinchiusi nelle patrie galere siano qualche centinaio contro i quasi 10 mila degli omologhi tedeschi. La proporzione si capovolge quando si analizzano gli stipendi dei top manager pubblici e privati. Gli italiani percepiscono molto più di tutti gli altri colleghi europei anche se cominciano ad essere pubblicati diversi studi che sembrerebbero affermare il contrario. La crisi qualche traccia deve pur averla lasciata. Certo è che se l'Erario vuole tornare ad avere i conti in ordine deve necessariamente prendere denaro da chi ne ha perché a Pantalone è rimasto proprio solo il paio che indossa. E in alcuni casi neppure più quello...