Da
almeno una quindicina d'anni il nostro vocabolario si è arricchito
dell'uso, a volte anche indiscriminato, della parola tagli.
In campo economico e politico, questo termine indica una decisa
revisione del concetto di spesa o consumo. Ottimizzare e
razionalizzare sono diventati i verbi preferiti dai nostri
amministratori. E', però, sempre così. Domandiamocelo. Che cos'è
uno spreco
e cosa un disinvestimento?
Proviamo a darci delle risposte. Lo spreco
è il consumo eccessivo o inutile di beni o risorse, un eccesso
economico e finanziario, un vezzo sterile e costoso. Esso è anche
identificabile in una spesa per l'acquisto di beni o la prestazione
di servizi che servono ma che si possono “facilmente” reperire a
prezzi più contenuti. Il disinvestimento,
invece, è la riduzione della quantità di beni utilizzabili
nell’attività produttiva, dello stock di capitale già esistente
causata dalla mancata sostituzione degli elementi che lo compongono
(edifici, impianti, attrezzature, ecc.) man mano che l'usura li rende
inutilizzabili. Si tratta di una scelta aziendale che è proiettata
unicamente nel futuro. La natura dell'investimento (che è il suo
esatto opposto) è principalmente di carattere previsionale e
rappresenta il vero termometro delle capacità manageriali di
un'impresa. La ricerca è il suo momento più alto, così come la
sostituzione migliorativa di strumentazione e personale. Chiariti
questi punti dobbiamo necessariamente porci un'altra domanda: quando
i tagli di spesa entrano a far parte della lotta agli sprechi e
quando sono mere riduzioni o cancellazioni di uno o più
investimenti? Vorrei affermare che i nostri amministratori hanno
grandi doti di preveggenza ma temo che la realtà incontrovertibile
sia che ci troviamo di fronte a scelte di carattere speculativo e non
lungimiranti. Se mi sbaglio e c'è la ripresa allora questo sarà il
Natale più ricco e abbondante degli ultimi anni. Se non mi sbaglio,
invece...
Pier Giorgio Tomatis