martedì 1 dicembre 2015

TRECCANI POLITICO





Da almeno una quindicina d'anni il nostro vocabolario si è arricchito dell'uso, a volte anche indiscriminato, della parola tagli. In campo economico e politico, questo termine indica una decisa revisione del concetto di spesa o consumo. Ottimizzare e razionalizzare sono diventati i verbi preferiti dai nostri amministratori. E', però, sempre così. Domandiamocelo. Che cos'è uno spreco e cosa un disinvestimento? Proviamo a darci delle risposte. Lo spreco è il consumo eccessivo o inutile di beni o risorse, un eccesso economico e finanziario, un vezzo sterile e costoso. Esso è anche identificabile in una spesa per l'acquisto di beni o la prestazione di servizi che servono ma che si possono “facilmente” reperire a prezzi più contenuti. Il disinvestimento, invece, è la riduzione della quantità di beni utilizzabili nell’attività produttiva, dello stock di capitale già esistente causata dalla mancata sostituzione degli elementi che lo compongono (edifici, impianti, attrezzature, ecc.) man mano che l'usura li rende inutilizzabili. Si tratta di una scelta aziendale che è proiettata unicamente nel futuro. La natura dell'investimento (che è il suo esatto opposto) è principalmente di carattere previsionale e rappresenta il vero termometro delle capacità manageriali di un'impresa. La ricerca è il suo momento più alto, così come la sostituzione migliorativa di strumentazione e personale. Chiariti questi punti dobbiamo necessariamente porci un'altra domanda: quando i tagli di spesa entrano a far parte della lotta agli sprechi e quando sono mere riduzioni o cancellazioni di uno o più investimenti? Vorrei affermare che i nostri amministratori hanno grandi doti di preveggenza ma temo che la realtà incontrovertibile sia che ci troviamo di fronte a scelte di carattere speculativo e non lungimiranti. Se mi sbaglio e c'è la ripresa allora questo sarà il Natale più ricco e abbondante degli ultimi anni. Se non mi sbaglio, invece...
Pier Giorgio Tomatis